18 Giugno 2012
La composizione delle controversie di lavoro e la certificazione di conformità. Il dibattito a livello internazionale.
Consentitemi anzitutto di ringraziare il Presidente dell’Ordine dei Consulenti e il collega Riccardo Spella per aver voluto organizzare questo momento di approfondimento, a cui si è inteso dare un taglio prevalentemente pratico, nel senso che la maggior parte degli interventi puntano a mettere in risalto concretamente le potenzialità, in termini di deflazione del contenzioso, di due istituti (conciliazione monocratica e certificazione) che, per motivi diversi, hanno avuto sinora un’applicazione decisamente inferiore alle aspettative, se non addirittura (almeno nel caso della certificazione) assai limitata.
A me è stato invece affidato il compito di illustrare sinteticamente il dibattito sviluppatosi, a livello internazionale, su argomenti connessi più o meno direttamente ai temi di oggi, quali la certificazione di conformità e le modalità di composizione delle controversie di lavoro.
Prima, però, mi sembra opportuno rispondere alla domanda, che penso molti di voi si saranno posti, sul perché abbiamo deciso di inserire una relazione con questo particolare taglio nell’ambito di un seminario che ha per oggetto l’esame di ben precisi istituti giuridici del nostro ordinamento interno.
In effetti abbiamo ritenuto che sia comunque importante un cenno alle tendenze che si vanno affermando sulla scena mondiale, non solo europea, e che non mancheranno di produrre riflessi, a più o meno breve termine, anche sulla nostra legislazione. Un esempio illuminante lo si ritrova nel recente decreto legge sulle semplificazioni, poi convertito nella legge n. 35 del 4 aprile 2012, laddove, all’articolo 14, si rinviene una traccia del dibattito sui possibili rapporti tra ispezione del lavoro e forme di monitoraggio privato di conformità, che ha costituito uno dei nodi più dibattuti nel corso dell’assemblea annuale dell’ILO del giugno 2011.
Di qui l’interesse di dar conto brevemente delle principali linee di tendenza che si sono manifestate al riguardo nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ovvero dell’Agenzia dell’ONU specializzata nelle tematiche del lavoro. Senza volermi cimentare in una impegnativa ricostruzione del dibattito sviluppatosi da anni su questi temi a livello internazionale, mi è sembrato comunque importante esporre brevemente le risultanza di due workshop, entrambi organizzati dall’ILO sui temi di oggi, che si sono tenuti a Torino, presso il Centro Internazionale di formazione dell’ILO, tra il febbraio e il marzo 2012. Il primo, dall’uno al tre febbraio, era incentrato sulle tecniche di risoluzione delle controversie di lavoro, mentre il secondo, tenutosi sempre a Torino il 15 e il 16 marzo, ha affrontato il nodo dei rapporti tra ispezione del lavoro e iniziative private di monitoraggio di conformità.
Ovviamente mi ha particolarmente interessato questo secondo tema, non solo per il mio ruolo istituzionale, ma anche per la singolare coincidenza temporale con l’emanazione del decreto legge sulle semplificazioni, il cui art.14, come ho già ricordato, contiene una previsione normativa che sembra andare nella stessa direzione.
Prima di concentrarmi su questa tematica, consentitemi un rapido cenno al seminario di febbraio indetto dall’ILO per validare un manuale pratico per operatori della conciliazione, predisposto da uno staff di esperti dell’Organizzazione.
Il citato manuale – che è stato sottoposto, a Torino, ad un’attenta valutazione critica da parte di un gruppo selezionato di funzionari pubblici e rappresentanti sindacali e datoriali provenienti da una decina di Paesi (Spagna, Gran Bretagna, USA, Cile, Filippine, Cambogia, SudAfrica e Mauritus) – risulta incentrato sulle tecniche da utilizzare, pur in diversi contesti, per comporre le controversie di lavoro, individuali e collettive.
Partendo dalla constatazione che le profonde diversità esistenti tra i vari Paesi impediscono un’attendibile comparazione, e tanto meno un’uniformazione dei sistemi in vigore, si è pensato di focalizzare l’attenzione sulle tecniche di gestione del conflitto, in modo da realizzare, per questa strada, un primo, sia pur timido, passo verso una maggiore omogeneità.
Non è questa la sede per esaminare nel dettaglio una materia che, da sola, meriterebbe un convegno di approfondimento.
Mi preme piuttosto sottolineare come la recente iniziativa dell’ILO confermi la grande attenzione che non da oggi viene posta a livello internazionale sui meccanismi di risoluzione dei conflitti di lavoro. Il che mi fa pensare (ma è un’opinione del tutto personale) che prima o poi si dovranno rivedere le scelte, compiute a questo riguardo dal “collegato lavoro”, che ha eliminato, nel campo lavoristico, il principio generale dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, proprio nello stesso momento in cui (grazie al decreto legislativo n28 del 2010) lo stesso principio veniva introdotto per la quasi totalità delle controversie civili e commerciali.
E veniamo ora al seminario del 15/16 marzo 2012 dedicato all’ispezione del lavoro e alle forme private di monitoraggio di conformità, oggi in fase di forte espansione. Un seminario che prendeva le mosse dal Rapporto presentato nel giugno 2011 all’assemblea annuale dell’ILO a Ginevra, a cui ha partecipato, come esperta, la D.ssa Anna Rivara della DTL di Genova.
Il citato rapporto, nel prendere atto della crescente diffusione di queste forme di monitoraggio, da un lato ne rimarcava la grande diversità di approccio, con conseguente impossibilità di esprimere una valutazione univoca, dall’altro formulava l’auspicio di uno stretto coordinamento con gli organi ispettivi pubblici, anche al fine di evitare il rischio di un oggettivo indebolimento della funzione pubblica di controllo ispettivo, di cui veniva ribadita l’insostituibilità, in linea con le risoluzioni adottate a più riprese dall’Assemblea dell’ILO.
Per conferire maggiore concretezza alle indicazioni approvate a giugno in sede plenaria, il “Governino Body” dell’ILO ha poi deciso, nel novembre 2011, di indire un apposito “meeting” di esperti, al fine di sciogliere il nodo dei rapporti tra ispezione del lavoro e monitoraggio privato di conformità, partendo da un’analisi approfondita delle più significative esperienze maturate negli ultimi due decenni.
Di qui, appunto, il convegno svoltosi a Torino a metà marzo, nel corso del quale sono state esaminate da un lato le iniziative promosse dall’Ilo, attraverso il Programma “Better Work” in taluni Paesi emergenti,dall’altro sono stati passati in rassegna i principali modelli sperimentati in contesti radicalmente diversi, dalla Norvegia sino alla Cina, all’India al Brasile, vale a dire tre delle quattro grandi economie emergenti che vanno comunemente sotto il nome di BRIC, un acronimo coniato poco più di dieci anni fa per indicare le quattro grandi potenze economiche (Brasile, Russia, India e Cina) destinate a soppiantare entro la fine di questo decennio, nel ruolo di traino dell’economia mondiale, le tradizionali realtà dell’Occidente, NordAmerica ed Europa.
Di particolare interesse è risultata la relazione del rappresentante del Ministero del Lavoro Brasiliano, Luis Henriquez Ramos Lopez, il quale ha esordito con una ricostruzione storica delle iniziative di monitoraggio sviluppatesi nel Paese, dagli anni ’80 in poi, riconducibili a due filoni ben distinti: anzitutto l’importante opera di sensibilizzazione promossa da svariate Organizzazioni non governative nei confronti della piaga dello sfruttamento del lavoro, soprattutto minorile, e poi le forme di monitoraggio poste in essere dalle grandi multinazionali, nelle rispettive filiali, a garanzia del pieno rispetto delle norme di tutela del lavoro, interne ed internazionali.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, il collega brasiliano ha citato, quale esempio, emblematico un progetto di qualche anno fa della Volkswagen, che prevedeva una forma di monitoraggio interno sull’attuazione delle misure adottate per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Tale monitoraggio avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni della multinazionale tedesca, un ruolo sostitutivo rispetto al controllo degli ispettori, il che ne aveva determinato la bocciatura da parte delle autorità governative, innescando, al tempo stesso, un ampio dibattito incentrato proprio sui rapporti tra ispezione del lavoro e queste forme di monitoraggio aziendale.
Assai più radicato, almeno nell’esperienza brasiliana., risulta essere l’altro filone, che potremmo definire come “privato sociale”, in quanto promosso da associazioni non governative impegnate nella lotta contro lo sfruttamento lavorativo, e non solo lavorativo.
Le citate iniziative hanno portato, quattro anni fa, ad un accordo nazionale per sradicare il lavoro schiavistico, che si è poi tradotto nell’adozione di due piani settoriali di intervento, riferiti ai comparti maggiormente interessati dal fenomeno, ovvero il settore delle costruzioni edili e quello della lavorazione della canna da zucchero.
In estrema sintesi, la posizione del governo brasiliano – che rispecchia del resto l’orientamento codificato a livello internazionale e ribadito da ultimo dall’assemblea dell’ILO del giugno 2011 – è quello di favorire il diffondersi delle diverse forme di monitoraggio privato, a condizione che si pongano in termini complementari, e non sostitutivi, rispetto al controllo ispettivo esercitato dagli organi pubblici.
Molto più problematica (lo dico con franchezza) la relazione dell’ispettore del lavoro cinese, Changyou Zhu, che ha certamente suscitato l’interesse di tutti i partecipanti al meeting per la ricchezza dei dati presentati. Mi limiterò qua a riportare un paio di numeri (peraltro parziali, perché si riferiscono al solo mercato del lavoro urbano, con esclusione quindi del mondo rurale) che danno un’idea delle dimensioni: 34 milioni di unità produttive urbane con circa 400 milioni di dipendenti e con una forza ispettiva pari a 23mila ispettori del lavoro a tempo pieno. Il che significa che gli ispettori cinesi (ove si applicassero anche a loro i parametri previsti dalla nostra Direzione dell’attività ispettiva, vale a dire 60 ispezioni annue pro capite) dovrebbero impiegare quasi trent’anni per completare il controllo delle unità produttive loro affidate.
Al di là di queste curiosità, la relazione del collega cinese è rimasta molto sul vago per quanto concerne il tema specifico del meeting di Torino.
In particolare sono rimaste senza risposta le mie domande sulle attività di controllo nelle cosiddette zone economiche speciali – destinate agli investitori stranieri, in prevalenza nel sud della Cina – di cui ho sentito parlare, a Brescia, da diversi imprenditori, che me le hanno descritte come delle vere e proprie zone franche, nelle quali si avvererebbe il sogno segreto di molti industriali bresciani (e forse non solo bresciani), cioè quello di lavorare senza avere tra i piedi né gli ispettori né i sindacati.
E la cosa mi fa sorridere (se mi è consentito un ricordo personale) ripensando agli anni dei miei studi universitari, gli anni della contestazione del ’68, quando il cosiddetto modello cinese aveva tutt’altro significato.
Ma poiché, oggi come allora, la “Cina è vicina” (anche se, ai nostri giorni, Pechino sembra accendere gli entusiasmi più di certi imprenditori che dei giovani contestatori) permettetemi di tornare a casa nostra, per concludere la mia relazione, facendo il punto dello stato dell’arte, qua da noi, alla luce dell’art.14 della legge n. 35 del 4 aprile 2012, che ha convertito il decreto legge n. 5 del 9 febbraio, il cosiddetto decreto legge sulle semplificazioni.
Si tratta di una norma, che, nell’ottica di una razionalizzazione dei controlli, delega il governo ad emanare uno o più decreti espressamente indirizzati a tale finalità, dettandone i criteri, tra i quali, alla lettera f del comma 4, è stato inserito anche il seguente principio: “razionalizzazione, anche mediante riduzione o eliminazione dei controlli sulle imprese, tenendo conto del possesso di certificazione del sistema di gestione della qualità ISO o di altra appropriata certificazione”.
Il successivo comma 6 precisa che tale disposizione non si applica ai controlli fiscali, finanziati e in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, limitandone così notevolmente la portata.
È evidente che, per valutare l’impatto di tale previsione normativa, occorrerà attendere il decreto attuativo, tanto più che la delega, come è formulata, lascia, in proposito, al Governo la possibilità di scegliere tra due opzioni – entrambe compatibili con il testo della delega ma profondamente diverse sotto il profilo del rapporto con la funzione ispettiva – vale a dire l’eliminazione dei controlli ispettivi, per le aziende in possesso di appropriata certificazione, o invece una semplice riduzione degli stessi, eventualmente con un meccanismo analogo a quello previsto dalla direttiva Sacconi del settembre 2008 per i contratti certificati ai sensi del Decreto Legislativo 276/2003.
Personalmente, condivido l’orientamento, ormai consolidato in sede ILO, che attribuisce a queste forme di monitoraggio una valenza positiva, purché esse mantengano un ruolo complementare, e non sostitutivo, rispetto alla funzione pubblica ispettiva.
In ogni caso, quali che siano le convinzioni al riguardo di ciascuno di noi, non c’è dubbio che questa norma ha reso attuale, anche nel nostro Paese, il dibattito in corso da anni, su queste tematiche, a livello internazionale.
Paolo Vettori
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